Dopo tantissimi anni ad ascoltare storie, ho imparato che le storie d’amore sono le storie che si ascoltano di più (e a volte più volentieri).
Un’altra cosa che ho imparato è che le persone “dentro” storie d’amore che non funzionano (e che dunque finiscono per raccontare all’amica, al sacerdote, al coach, al counselor, al terapeuta, all’analista, ecc.) si fanno le domande sbagliate.
Farsi le domande giuste è importante perché le domande spesso guidano la nostra attenzione e la nostra attenzione è un buon predittivo di come spenderemo il nostro tempo e se e cosa troveremo. Per evitare di sprecarlo (il tempo) e trovare ciò che non vogliamo (sofferenza) inseguendo ciò che (forse) non c’è (l’amore) dobbiamo imparare a fare migliori domande e a distinguere ciò che non distinguiamo. Ma procediamo con ordine.
Dobbiamo imparare a fare domande migliori e a distinguere ciò che non distinguiamo.
Vogliamo essere amati
Noi vogliamo essere amati.
Non sarà una grande scoperta ma è già una buona partenza per distinguere se nella nostra “emotività umana” siamo discretamente sani di mente o fortemente “originali” (dove l’accezione originale non è fortemente desiderabile).
Se rientriamo nella categoria dei discretamente sani, allora possiamo procedere, diversamente le domande e i percorsi che dovremmo farci/fare saranno altri (e sarebbero da fare).
Vogliamo essere amati perché abbiamo intuitivamente sperimentato che questo mondo è inospitale se non siamo amati.
Abbiamo imparato che essere amati
1️⃣ vuol dire essere accuditi,
2️⃣ significa essere considerati più degli altri (che non sono amati o non amati allo stesso livello),
3️⃣ ci permette di avere (o di avere di più di) ciò che desideriamo dagli altri, in questo mondo in cui si lotta per risorse scarse (tempo e attenzione per dirne soltanto due tra le più scarse) .
4️⃣ Ancora, essere amati nel gruppo a cui apparteniamo o vogliamo appartenere significa essere speciali e questo ha pure i suoi vantaggi:
– da un parte, non verremo abbandonati o sacrificati dal nostro gruppo (perché siamo preziosi) e
– dall’altra sarà più facile entrare in nuovi gruppi di cui vogliamo far parte (perché tutti ci vogliono).
Insomma, essere amati rende la vita assai più facile e più bella e dunque vale la pena impegnarsi per esserlo.
Vogliamo essere amati perché abbiamo intuitivamente sperimentato che questo mondo è inospitale se non siamo amati.
Domanda giusta
Se abbiamo detto che essere amati ci aiuta nella competizione per accaparrarsi risorse scarse e preziose, allora ha senso la richiesta reciproca dei fidanzati: “Mi ami?”. Cioè ha senso chiedere se tu, tra i tanti/le tante, ami proprio me. Perché non avrebbe senso anzi sarebbe controproducente che tra i tanti/le tante non fossi io ad essere amato/a ma qualcun altro!
La richiesta di amore è sempre una richiesta di amore per se stessi e non per gli altri. “Mi ami?” è sempre una dichiarata domanda egocentrica: che m’importa degli altri? Niente! È importante che io sia amato/a e io più degli altri. Sempre!
Al punto attuale, so che qualcuno di noi potrebbe provare un senso diffuso di orticaria ma, credetemi, non c’è nulla di cui vergognarsi nell’essere umani, tranne il fatto di esserlo cercando di nasconderlo. Siamo ciò che siamo e ci muoviamo per meccanismi ben rodati nei passati millenni. Possiamo fargli assumere forme e nomi diversi ma rimangono i meccanismi che sono: dominanti e condizionanti la nostra esistenza. Si può anche far finta di no, ma questo non li depotenzia affatto, anzi li porta completamente fuori dal nostro (già parziale) controllo.
Domanda sbagliata
Ma le storie d’amore, come ho detto prima, non sono tutte rose e fiori. Alcune sono davvero una pena e portatrici di affanni…inutili. Sì, inutili perché a volte tutta la sofferenza che viviamo nelle storie d’amore (evidentemente ) sbagliate potremmo risparmiarcela. Basterebbe poco. Davvero poco.
Basterebbe fare la giusta domanda.
La domanda è semplice e non solo è la prima domanda da farsi ma dovrebbe essere la prima vera azione di ogni potenziale innamorato/a prima di passare dal potenziale all’esserlo. La domanda è: “Tu ami?” Cioè tu sei impegnato/a in questa azione dell’amare? Perché dovete sapere che se incontriamo qualcuno e ci parliamo è certo che è vivo e dunque impegnato nelle azione del respirare, metabolizzare nutrienti, e altre varie funzioni fisiologiche ma non è affatto detto che quella persona sia impegnata nell’azione dell’amare.
Badiamo bene che non ho scritto che si voglia impegnare nell’azione di amare noi ma soltanto che sia impegnato nell’azione dell’amare. Se la risposta è “No” il mio personalissimo consiglio è di lasciar perdere e abbandonare la scena a gambe levate. Evitiamoci estenuanti inseguimenti a chi non vuole impegnarsi in un’azione che è oggettivamente complessa, energicamente dispendiosa e con probabilità di successo non certificabili.
Chi non ama merita la solitudine che dovremmo riconoscergli anziché lo stress di un perenne inseguimento a cui sottrarsi: il nostro.







