Ma come facciamo a sapere come stanno “le cose” del nostro mondo e poi a gestirle essendo sicuri di avere chiaro che le premesse siano quelle corrette? Come facciamo a far leva sulle persone quando forse non siamo in grado di chiedere davvero con precisione? Ti racconto…
Multinazionale. Nuovo cliente. Assisto alla presentazione del programma di formazione che stanno avviando per il biennio a venire. Parole piene di energia, speranze, visi eccitati, obiettivi ambiziosi tra gli executive presenti e tra (molti ma non tutti) i manager con i loro team.
Poi ascolto un executive dire ai suoi di prepararsi “al meglio” per il training che avranno fra due settimane con me e che inaugura tutto il progetto.
Tre giorni dopo il meeting e a seguire, riceverò tante chiamate di persone che si affannano tra mille impegni a svolgere il pre-work che è stato assegnato loro. Sono lievemente preoccupati di non poterlo terminare o di non riuscire a svolgerlo come si deve.
Do alcune spiegazioni, offro sostegno, incoraggio e rassicuro. Ma verità per verità, rimango con una domanda che mi ronza in testa. La domanda è: ma come “si deve” svolgere questo pre-work al meglio? Mi trovo di fronte, per l’ennesima volta, alle conseguenze di una comunicazione imprecisa che ha l’enfasi e la prosopopea di un’indicazione chiara e utile, quando in realtà e proprio l’opposto.
Se non sappiamo chiedere con precisione dobbiamo accontentarci di qualunque cosa arrivi come risposta.
Sì, perché a volerci pensare bene, alla domanda che mi ronzava in testa (ma come si deve svolgere questo prework al meglio?), non c’era una risposta univoca. Io ne vedo almeno 2: la prima, è al meglio delle possibilità della persona che deve svolgere il compito (punto e basta); la seconda, è al meglio delle sue possibilità ma nei limiti delle costrizioni che le contingenze attuali impongono.
C’è differenza? E se sì, cosa comporta questa differenza?
La differenza esiste, ed ha un impatto drammatico per chi non se ne rendo conto.
Nel primo caso si sta chiedendo ad una persona di eseguire al meglio delle proprie possibilità un determinato compito. Una volta eseguito il compito, il risultato (e il modo agito per ottenere il risultato) mostreranno cosa è in grado di fare la persona quando opera al meglio delle sue capacità. Quello è il suo massimo; meglio di così la persona non sa fare e, senza interventi correttivi o migliorativi, non c’è da aspettarsi niente di più (o di meglio).
Nel secondo caso, invece, la persona esprimerà ciò che è il suo meglio quando è impegnata anche su altri fronti (e questa non è proprio la stessa cosa della precedente).
Quali competenze allora mostra la persona in un caso e nell’altro?
Nel primo caso, il risultato mostrerà la sua competenza quando è focalizzata esclusivamente sull’eseguire al meglio il compito. Nel secondo caso, invece, vedremo come la persona: sa dare priorità ai diversi impegni (capacità di stabilire ciò che è più importante e ciò che lo è meno); sa dividere le energie e distribuirle tra i compiti, in funzione delle priorità che ha assegnato e della numerosità delle diverse cose da fare.
Per fortuna non è sempre tutto così importante per la riuscita del nostro percorso.
Osservare il risutato della prestazione della persona senza fare la distinzione opportuna tra i due casi, significa rischiare di sovra/sottostimare le capacità di risposta di una persona e, conseguentemente, iniziare involontariamente a costruire delusione e frustrazione nel futuro della relazione. E questo ha sempre conseguenze, spesso anche rilevanti.
Tutto accade per la pressapochezza inconsapevole con cui le persone comunicano al lavoro, anche in momenti significativamente importanti. Si danno indicazioni che creano dilemmi, aprono a false certezze e dirigono le (loro) risorse ovunque anziché verso obiettivi nitidi. Si crede di aver comunicato con la precisione necessaria a poter utilizzare i comportamenti in risposta come indicatori affidabili di valori, potenzialità, tendenze e identità delle persone che si gestiscono. Purtroppo, non sapendo cosa si chiede e non rendendosi conto di ciò che si dice (davvero), ciò che fanno le persone intorno non è quasi mai la risposta alle intenzioni di chi comunica maldestramente, ma al caos comunicativo che è stato creato.
Chi ha completato il prework come lo avrà fatto? Con quale livello di impegno, assoluto o relativo? Al meglio di che?
Quel training è ormai passato e i dubbi sono rimasti… per fortuna non era tutto così importante per la riuscita del nostro percorso, anche se a sentire l’executive alla presentazione, era un prework davvero importante, da meritare di essere fatto “al meglio”.
Fiorisci, puoi.







